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Chiesa di San Pietro Oratorium
Immersa nel
bosco ai piedi del borgo di Capestrano, protetta e
nascosta dagli alberi, a pochi passi dal corso del fiume
Tirino, la Chiesa di San Pietro ad Oratorium è giunta
fino a noi quasi intatta nella sua pietra bianca, ricca
di storia e di arte. Antica dipendenza della grande
Abbazia di San Vincenzo al Volturno, in Molise, era
collegata
ad una vicino monastero benedettina di cui purtroppo non
resta traccia. L'origine e le vicissitudini sono
dichiarate, quasi come credenziali, nell'iscrizione
dell'architrave del portale dove si legge:
A REGE
DESIDERIO FUNDATA ANNO MILLENO CENTENO RENOVATA.
San Pietro ad Oratorium è un pezzo di storia che
travalica l'anno mille: addirittura oggi sappiamo che
all'epoca di Desiderio il monastero doveva già essere
costruito e dotato in quanto nell'anno 752 fu confermato
ai benedettini volturnensi dal pontefice Stefano II,
come si legge nella Cronica, e che il re Desiderio,
ultimo sovrano dei Longobardi, lo prese sotto la sua ala
protettrice. Fu poi ricostruito nel corso del 1100,
sotto il dominio dei Normanni, all'epoca di Ruggero II.
Un monumento longobardo rinnovato in forme romaniche
dopo quattrocento anni dalla fondazione. Un monumento
che ci racconta oggi di epoche antichissime, che ci
porta la testimonianza di un alto Medio Evo pochissimo
documentato e proprio per questo da considerare
prezioso, da conservare e da consegnare a nostra volta,
il più possibile integro, alle generazioni future. A
saper leggere nei suoi paramenti murari e nelle sue
decorazioni interne, scolpite e dipinte, riusciamo a
ripercorrerne il lungo cammino attraverso i secoli. Le
testimonianze più antiche sono le epigrafi di epoca
romana posizionate in bella vista nella muratura
esterna, provenienti da monumenti sepolcrali del
circondario e probabilmente da qualche edificio pagano
della zona, o forse dal probabile tempio sulle cui
rovine fu edificata la stessa chiesa, secondo l' usanza
romanica di riutilizzare gli elementi erratici, quasi a
vantare una discendenza importante, ricordiamo per tutti
l'esempio emblematico della Cattedrale Valvense di
Corfinio (Aq). Importanti sono anche gli inserti di
epoca longobarda, a cominciare dai bellissimi
bassorilievi con motivi di intreccio vimineo di cerchi
annodati e romboidi inseriti sopra il portale,
probabilmente appartenuti al recinto presbiteriale della
prima chiesa. Molti dei reperti dell'edificio
altomedievale sono conservati nel Museo Nazionale
d'Abruzzo, come i frammenti di cornici decorate con
motivo di matasse che ritroviamo in un pluteo della
chiesa di San Michele Arcangelo in Vittorito (Aq), in un
pilastrino di San Giustino in Paganica (frazione
dell’Aquila), per citare i confronti canonici, datati
unanimemente al secolo VIII. Si tratta di un motivo "di
stretta osservanza della tendenza astratta", diffuso in
tutta Europa, con una ornamentazione che richiama
decisamente i modelli della miniatura, con particolare
riferimento al Libro di Kells, un codice medievale tra i
più belli ed interessanti per gli aspetti calligrafici e
decorativi, datato tra il 760 e l'820, attualmente
conservato presso la biblioteca del Trinity College di
Dublino. Tutto ciò per sottolineare l'appartenenza
dell'antica fabbrica benedettina ad una koinè artistica
europea di dimensioni sorprendenti, se pensiamo ancora
ad un Medio Evo tradizionalmente buio e chiuso in se
stesso.
Chiesa di San Pietro Oratorium |
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Di poco posteriore, forse di
epoca carolingia, potrebbe essere il delicato rilievo con quattro
archetti e fiorellini, che ci ricordano un prato fiorito inquadrato da
un portichetto, probabilmente parte della decorazione di un piccolo
sarcofago. A sinistra del portale è inserita anche una antica epigrafe,
nota come quadrato magico, un testo palindromo che ha dato adito, nel
corso del tempo, alle più svariate interpretazioni. La sistemazione
della facciata è da riferire agli anni 1100-1180, alla piena epoca
romanica ed allo scambio di maestranze impegnate nei cantieri delle
cattedrali e chiese abruzzesi. Il portale sembrerebbe il risultato di
una composizione di elementi architettonici di momenti diversi, un
collage di altissimo livello: l'archivolto, filiazione diretta del
portale mediano di San Liberatore a Maiella e coevo della epigrafe
dell'architrave, ha le due fasce concentriche decorate con delicate
palmette inscritte in anelli generati dal loro stesso stelo. I due
modesti rilievi laterali, interpretati quali San Vincenzo Diacono ed il
profeta Davide, recentemente sono state attribuite da Francesco Gandolfo
ad uno scultore che aveva visto o scolpito le figure dei re e
l'architrave del portale centrale di San Clemente a Casauria. Riguardo
alla figura maschile coronata, di una plasticità derivante dal tardo
antico, potrebbe rappresentare più verosimilmente il re Desiderio, come
a suo tempo ipotizzò Mario Moretti e come ha ribadito recentemente Renzo
Mancini. Tesi d'altronde già sostenuta da Massimo Ludovico Antinori
sulla base dell'epigrafe soprastante, indicata dallo stesso re: SCULPTORIS
IMAGO APPARUIT ITA IN SOMNIS HAEC
(tradotto: questa immagine
apparve proprio così nel sogno dello scultore). I ritratti di re
Desiderio e di San Vincenzo ricordano quindi per immagini le antiche
origini della chiesa, illustrando anche visivamente la scritta
dell'architrave, dal momento che la maggior parte dei fedeli non era in
grado di leggere. Straordinariamente alta è la qualità del decoro dei
piedritti e dei capitelli, che sembrano
San Clemente a
Casauria
ricadere in ambito artistico casauriense ed in particolare siamo portati a pensare, concordemente con
il Gandolfo, ad una seconda maestranza con diversa specializzazione ed
in particolare allo scultore dei plutei del pulpito di Casauria (primi
anni ottanta del XII sec.): essi presentano infatti un ornato molto
fantasioso e di notevole qualità artistica, che viene ripreso
successivamente anche nell'architrave del ciborio: un doppio tralcio
annodato, con foglie piatte ritagliate dentro una ellisse, che nasce
dalle fauci di un piccolo drago posto alla base dello stipite di
sinistra. Anche i raffinatissimi capitelli sono da attribuire a questa
fase scultorea, più prossimi al modo di fare delle maestranze che
operarono nel portico di San Clemente, essendo caratterizzati da una
soluzione a traforo che stacca in modo marcato l'elemento vegetale
rispetto al fondo. Questi artisti appartenenti ad una stessa bottega,
erano probabilmente giunti a Casauria lungo la costa adriatica dalla
cattedrale di Fano, a sua volta eco periferica di uno stile e di un’
arte ben radicata nella realtà padana di Piacenza, grazie al cantiere
già concluso della Cattedrale. Di poco posteriore, forse di epoca
carolingia, potrebbe essere il delicato rilievo con quattro archetti e
fiorellini, che ci ricordano un prato fiorito inquadrato da un
portichetto, probabilmente parte della decorazione di un piccolo
sarcofago. A sinistra del portale è inserita anche una antica epigrafe,
nota come quadrato magico, un testo palindromo che ha dato adito, nel
corso del tempo, alle più svariate interpretazioni. La sistemazione
della facciata è da riferire agli anni 1100-1180, alla piena epoca
romanica ed allo scambio di maestranze impegnate nei cantieri delle
cattedrali e chiese abruzzesi. Il portale sembrerebbe il risultato di
una composizione di elementi architettonici di momenti diversi, un
collage di altissimo livello: l'archivolto, filiazione diretta del
portale mediano di San Liberatore a Maiella e coevo della epigrafe
dell'architrave, ha le due fasce concentriche decorate con delicate
palmette inscritte in anelli generati dal loro stesso stelo. I due
modesti rilievi laterali, interpretati quali San Vincenzo Diacono ed il
profeta Davide, recentemente sono state attribuite da Francesco Gandolfo
ad uno scultore che aveva visto o scolpito le figure dei re e
l'architrave del portale centrale di San Clemente a Casauria. Riguardo
alla figura maschile coronata, di una plasticità derivante dal tardo
antico, potrebbe rappresentare più verosimilmente il re Desiderio, come
a suo tempo ipotizzò Mario Moretti e come ha ribadito recentemente Renzo
Mancini. Tesi d'altronde già sostenuta da Massimo Ludovico Antinori
sulla base dell'epigrafe soprastante, indicata dallo stesso re:
SCULPTORIS IMAGO APPARUIT ITA IN SOMNIS HAEC (tradotto: questa immagine
apparve proprio così nel sogno dello scultore). I ritratti di re
Desiderio e di San Vincenzo ricordano quindi per immagini le antiche
origini della chiesa, illustrando anche visivamente la scritta
dell'architrave, dal momento che la maggior parte dei fedeli non era in
grado di leggere. Straordinariamente alta è la qualità del decoro dei
piedritti e dei capitelli, che sembrano ricadere in ambito artistico
casauriense ed in particolare siamo portati a pensare, concordemente con
il Gandolfo, ad una seconda maestranza con diversa specializzazione ed
in particolare allo scultore dei plutei del pulpito di Casauria (primi
anni ottanta del XII sec.): essi presentano infatti un ornato molto
fantasioso e di notevole qualità artistica, che viene ripreso
successivamente anche nell'architrave del ciborio: un doppio tralcio
annodato, con foglie piatte ritagliate dentro una ellisse, che nasce
dalle fauci di un piccolo drago posto alla base dello stipite di
sinistra. Anche i raffinatissimi capitelli sono da attribuire a questa
fase scultorea, più prossimi al modo di fare delle maestranze che
operarono nel portico di San Clemente, essendo caratterizzati da una
soluzione a traforo che stacca in modo marcato l'elemento vegetale
rispetto al fondo. Questi artisti appartenenti ad una stessa bottega,
erano probabilmente giunti a Casauria lungo la costa adriatica dalla
cattedrale di Fano, a sua volta eco periferica di uno stile e di un’
arte ben radicata nella realtà padana di Piacenza, grazie al cantiere
già concluso della Cattedrale.
Chiesa
di San Pietro Oratorium
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Nella lunetta è ancora visibile
l'immagine di San Pietro Papa, risalente al XII secolo come gli
affreschi della zona presbiteriale, importantissimo e raro documento
pittorico di arte preassisiate. L'interno, a tre navate, appena
rischiarato dalle finestrelle ricavate al di sopra delle arcate e in
corrispondenza delle tre absidi, è suddiviso da pilastri robusti
coronati da capitelli romanici molto interessanti, dalle iconografie
rare e ricche di motivi simbolici arcaici. Ritenuti in un primo tempo
altomedievali sono oggi unanimemente riferiti all'impianto romanico. La
nostra attenzione a questo punto viene focalizzata dal ciborio
dugentesco (del ‘200 ndr.), la cui struttura in pietra bianca scolpita è
messa in risalto dal rosso ocra della parete di fondo, colore
predominante dell'antica policromia degli affreschi retrostanti. I
cibori abruzzesi attualmente conservati sono complessivamente sette, tra
di essi quello di San Pietro ad Oratorium costituisce davvero un unicum.
Non solo perché presenta degli inserti di maiolica policroma, ben sette
piastrelle originali su sedici, ma anche per la sapiente impostazione
degli archetti a sesto acuto, come elemento di raccordo tra la forma
quadrangolare della base e quella poligonale della cuspide, coronata a
sua volta da una lanterna. Ed ancora perché in esso coesistono e si
fondono due modi diversi di fare arte, due concezioni artistiche
differenti, quella romanica e quella gotica: uno stile e degli stilemi
pienamente romanici, quindi ancorati al XII secolo, riproposti
nell'architrave frontale, l'unico decorato, e nei capitelli sottostanti,
derivati direttamente dagli ornati dei pulpiti di
Santa Maria Maggiore a Pianella
San Clemente a Casauria (dopo il 1180), di Santa Maria Maggiore a Pianella (primi del
'200), dagli stipiti del portale della stessa Chiesa di San Pietro (dopo
il 1180) ; uno stile e degli elementi tipicamente gotici, come gli
archetti ogivali del coronamento, i cosiddetti bottoni cistercensi dei
capitelli sul retro e di tutti i capitellini della copertura, e che
impreziosiscono anche le basi delle quattro colonne principali con una
leggera variante, diffusi in Abruzzo subito dopo la fondazione di Santa
Maria d'Arabona (1200-1225) ma che troviamo anche precocemente nel
secondo ordine delle colonnine dell'Abside di Santa Maria in Val
Porclaneta (Rosciolo - AQ). Francesco Gandolfo, nella recente monografia
dedicata alla Scultura Medievale in Abruzzo, attribuisce queste
diversità stilistiche a due distinti scultori: ad una personalità
arcaizzante i motivi del doppio tralcio annodato che trae origine dalle
fauci del draghetto e gli ornati dei due capitelli corrispondenti, ad
un'altra maestranza, più aggiornata sulle novità del cantiere di Santa
Maria d'Arabona, gli elementi sopra citati. Se così fosse sarebbe
confermata anche l'antichità delle maioliche policrome, inserite negli
spazi appositamente ricavati alla base della cuspide, che
rappresenterebbero in questo modo degli interessanti esempi di maiolica
duecentesca presenti in Abruzzo, forse gli unici. In realtà qualche
dubbio sorge in seguito all'approfondimento specialistico degli inserti
ceramici, confermato tra l'altro dal parere di una studiosa ed esperta
di ceramica quale la dottoressa Selene Sconci, del Museo Nazionale di
Palazzo Venezia (Roma). Infatti la quantità e qualità dei colori
utilizzati contemporaneamente, verde ramina, blu cobalto, giallo
feraccia e il raro blu di manganese insieme al raffinato motivo
decorativo, fanno pensare ad una ceramica proto rinascimentale.
Santa Maria d'Arabona,
@enio
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